Kilimanjaro
Arusha
Arusha è una tranquilla cittadina adagiata ai piedi del monte Meru a 1.350 metri sul livello del mare e immersa nell'ordinato caos africano che qui al capolinea degli autobus trova la sua massima esasperazione tra passeggeri appena sbarcati e in procinto d'imbarcarsi, strilloni, venditori di frutta, tassisti, mendicanti, imbroglioni e sfaccendati.
Contratto il prezzo di una corsa in taxi fino all'hotel e quando la cifra scende a livelli accettabili saliamo con tutti i bagagli sulla scatola di ruggine motorizzata che un tempo era stata una berlina giapponese.
Seduto sul sedile anteriore butto una rapida occhiata all'automezzo: solo un miracolo permetterà a quella carretta di arrivare fino all'albergo.
Ho spuntato un buon prezzo, ma la mia soddisfazione dura poco perché il taxi, cigolando e scoppiettando esce dal piazzale, percorre un centinaio di metri e, svoltando in una strada laterale di terra battuta, improvvisamente si ferma. " Tulifika !", esclama il tassista in swahili, "siamo arrivati".
L'insegna un po' impolverata del Tourist Inn è lì sulla nostra destra, ci troviamo appena dietro il piazzale degli autobus e se fossimo andati a piedi avremmo impiegato meno tempo e risparmiato novemila scellini, quasi cinque euro. Benvenuti ad Arusha!
Nessuno di noi due si è mai fatto troppe illusioni sull'albergo in cui avremmo trascorso la notte prima della scalata. In fondo non ce n'è mai importato granché: tutto ciò che ci serve è una doccia, un letto e un posto in cui lasciare i bagagli in eccesso. Il Tourist Inn ha tutto questo e a noi basta.
Al piano terra, con la vetrata affacciata sulla strada, c'è anche un ristorante e visto che non mangiamo da ieri sera, decidiamo che la doccia può aspettare ancora.
Come tipico qui in Africa, l'attesa del cibo è estenuante, ma le grandi vetrate che guardano sulla strada sono uno schermo che tiene impegnata la nostra curiosità , regalandoci un piacevole spaccato della frizzante vita di Arusha. È una via stretta e polverosa quella di fronte all'albergo, ma freme d'attività . Nell'Internet caffè davanti a noi c'è un continuo via vai, qualcuno acquista una ricarica per il cellulare, altri tentano un collegamento disperato con la Rete. Accanto c'è "Fatty Beauty" l'estetista dal nome audace, così come audace è il murale variopinto che ne pubblicizza l'attività sul fronte del negozio; a fine seduta le donne escono rimirandosi vanitosamente le unghie appena dipinte e, mentre si infilano le scarpe lasciate fuori dalla porta, si riesce a immaginarne il sorriso soddisfatto nascosto dal velo che copre il loro volto.
Più avanti c'è un bazar, poi una bottiglieria e perfino "Timberland" il barbiere, con tanto di acero disegnato sull'insegna. Due grasse signore ingioiellate cercano senza successo di uscire in retromarcia dal parcheggio con il loro enorme fuoristrada. La manovra è di una semplicità disarmante, ma per l'autista si tratta di un algoritmo impossibile da risolvere, così che un passante compassionevole si offre di compiere la manovra al suo posto.
Automobili, biciclette e motocicli si destreggiano in gimcane tra le buche e, quando qualcuno osa un po' di più, la strada si prende la rivincita facendogli lo sgambetto. Così la ruota anteriore della motocicletta si infila malamente in una crepa e il ragazzo perde il controllo, finendo rovinosamente a terra in una nuvola di polvere.
È subito capannello di gente che accorre un po' per prestare aiuto e soprattutto per curiosare. Il ragazzo è ammaccato e insanguinato, ma già in piedi, la moto però non parte e il manubrio è storto. Qualche colpo ben assestato con una pietra trovata in terra e riacquista la forma iniziale mentre la perseveranza sulla pedalina d'avviamento viene finalmente premiata dal rombo del motore che si mette in moto scoppiettando in una nuvola di fumo grigio. In sella e via, come se nulla fosse accaduto.
Rifocillati e ripu